Intervista per "il giornale letterario"

Le stagioni dell’eternità è il suo primo romanzo, un testo che unisce cruda realtà e fantasia. Qual è il percorso che l’ha portata a questo risultato ?

La volontà  di dare una speranza in questi tempi abbastanza bui dove tutto sembra ormai scontato e preordinato, dove la storia e la scienza non sembrano avere più nulla da dirci, dove il materialismo della sopravvivenza quotidiana ha sovrastato la fantasia e la creatività . Volevo suggerire che ancora esistono strade inesplorate o dimenticate che se imboccate potrebbero farci vedere un orizzonte meno cupo e darci nuovamente la gioia di vivere, anzi “la volontà” di vivere con gioia.

E volevo anche trovare una teoria (magari fantasiosa ma non del tutto irreale) alle mille domande irrisolte nascoste tra le pieghe della nostra storia millenaria e del nostro vivere quotidiano.
Una teoria singola che potesse in modo univoco dare una risposta a qualunque domanda la nostra curiosità  ci presenti: esistono gli UFO e se esistono perché non si sono mai chiaramente rivelati? Chi erano gli alchimisti? E’ esistita Atlantide? Sono esistite le creature mitologiche come i satiri, l’ippogrifo, i semidei? E le fate e i draghi? Esistono i poteri della mente? E i miracoli? Perché i Dogon del Mali sapevano che Sirio era in realtà  una stella doppia molto prima che la moderna astronomia lo scoprisse? Esiste l’anima? Ecc. Ecc.

E infine volevo narrare una storia. Una storia semplice ma accattivante e interessante che parlasse di persone e di sentimenti, di intrecci e coincidenze, di destino e di costruzione del destino. Volevo una storia che facesse partecipare il lettore agli eventi e immedesimarsi nei personaggi e nelle loro vicende ma volevo soprattutto che alla fine il lettore venisse anche cambiato, modificato dalla lettura stessa, che divenisse protagonista egli stesso e una volta accettata la teoria che spiega “chi siamo e da dove veniamo”, si impegnasse anch’egli come i protagonisti del romanzo nell’operare per attuare il “dove potremmo andare”.

Quali sono le parole chiave con cui descriverebbe il suo libro? E in quale filone lo inserirebbe ?

Più che parole indicherei un motto, una frase:
“non senti a volte di poter aspirare ad un destino molto più grande e magnifico di quello in cui tutto il mondo sembra volerti costringere?”
Per quanto riguarda il filone, senza voler apparire presuntuoso o snob, direi quello della letteratura, cioè quello dell’arte di raccontare storie, lasciando poi al lettore, in base alle proprie conoscenze, esperienze e preferenze, la decisione del proseguire o meno la lettura
stessa.

Quanto è autobiografico, se lo è e quali sono i suoi scrittori di riferimento?

Il romanzo è autobiografico nella misura in cui mi è quasi impossibile scrivere e parlare di sentimenti ed esperienze non vissute o perlomeno sfiorate. Quindi in ogni personaggio c’è qualcosa di me, nel bene e nel male. La vicenda stessa parte da fatti e personaggi reali poi trasfigurati dalla narrazione : proprio per questo la conoscenza della teoria esposta nel libro potrebbe essere pericolosa per chi lo ha scritto ma anche per chi leggendolo ne viene a conoscenza.
Per quanto riguarda i miei scrittori di riferimento posso dire che ho letto di tutto e il contrario di tutto e sempre, a volte in modo positivo altre in modo negativo, ho tratto insegnamento e ispirazione da quanto letto. Se proprio volessi fare dei nomi direi : Cesare Pavese, John Steinbeck, Stephen King ..ma sono proprio come numeri estratti dalla sacca della tombola: poteva uscire tutt’altro.
Spero solo che tutti loro mi abbiano insegnato a coltivare idee mie con uno stile mio.