Grandi&Associati

Le stagioni dell’eternità pur essendo, anche, romanzo di idee, ha una virtù che spesso si lamenta in via di estinzione: ha una trama, e sicure direzioni entro cui farla correre.

La vicenda, variata e scandita secondo una molteplicità  di punti di vista, mostra fin da subito marcata predilezione per il fantastico, esibisce chiari riferimenti, si pensa soprattutto per l’alternanza del punto di vista, a P.K. Dick, e si dimostra pienamente in grado di indirizzare in porto i vari fili che si addipanano lungo le pagine: avvincente, ricca e mobile, essa qualifica l’opera come prodotto denso, in possesso di idee e immagini di vaglia, di soluzioni narrative intense e solide.

I personaggi sono molti, non moltissimi, e generano un microcosmo articolato e vario: alcuni godono di tratti e vita narrativa davvero memorabili, mentre ad altri perviene uno spazio più ridotto, ma delineazione comunque nitida.

È quindi, anche, romanzo di odori, di colori, di ambienti rievocati con amore e attenzione, in uno scenario che non partecipa del caos urbano di una metropoli quale Milano o New York, ma che risulta in qualche modo egualmente inquietante, oltre che singolare per scelta.

La scrittura è rapida, tersa e vicina sovente al colloquiale; non esibisce compiacimenti di sorta, si dimostra strumento docile e puntuale ai fini di una narrazione serrata e ricca d’azione

Il recensore

In attesa che Dorina e Patrizio risolvano tutti i problemi legati alla loro separazione coniugale, la figlia Valentina lascia Torino e si trasferisce all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, nei pressi di Sullago. Qui, ospite degli zii materni Maria e Antonio, la giovane diciassettenne inizia a frequentare un gruppo di coetanei: ragazzi con l’orecchino e i jeans strappati e ragazze abituate a fumare e a uscire quasi tutte le sere. Ma la sua attenzione viene ben presto rapita, senza un apparente motivo, da un anziano signore di nome Leo, che si era ritirato a Sullago al termine della guerra, dopo aver a lungo soggiornato tra l’Italia del Nord e la Francia. La figura di quell’uomo, solitario e meditabondo, abituato a correre nei boschi in compagnia dei lupi, e per questa ragione tollerato ma non amato dalla popolazione locale, suscita in lei un misto di curiosità e di paura. Leo, invece, teme che la ragazza possa essere una spia degli Originali, una setta iniziatica da cui come ogni altro Pari si sente perennemente minacciato, in quanto potenziale rivelatore del pericolo che essa rappresenta per la specie umana. Intenti solo a godere di una condizione di vita privilegiata e a mantenere il potere dietro le quinte, gli Originali conducono la propria esistenza di nascosto tanto dagli uomini, che costituiscono le loro vittime designate, quanto da chi – al di sopra di tutti – conduce e vigila sull’esperimento messo in atto.

L’ambizione del romanzo di Ge Miggioli è dichiarata già dalle ipotesi suggestive indotte dal titolo e dalla mole corposa del volume. Tuttavia, confrontandosi con le quasi seicento pagine de Le stagioni dell’eternità, il lettore si sente quasi venire meno, al punto da desiderare una versione accorciata.

Cerca invano punti di riferimento che gli facciano da guida lungo il tragitto fantasioso della trama, rendendogli meno estenuante il percorso accidentato tra fenomeni inconsueti, poteri misteriosi, figure inquietanti e meno sfuggente l’obiettivo perseguito dall’autore. L’autore ambienta il suo libro d’esordio tra gli scenari naturali del Parco Nazionale d’Abruzzo, ma sprofonda l’intera vicenda in un abisso sotterraneo pieno di cunicoli dove si confrontano soggetti oscuri e irreali. L’intreccio del libro non è complesso, ma ha un marcato impianto di tono corale, al punto che – per il numero dei protagonisti in scena -verrebbe fatto di richiedere non già un indice analitico, ma un semplice elenco delle persone. Tutta questa fatica e per certi aspetti imponente lavoro, per suggerire una traccia alla ricerca di emozioni e speranza? L’impressione è che lo scrittore pesarese giochi piuttosto con il suo lettore come il gatto con il topo. Se lo lavora a lungo, gli tende imboscate, lo rigira come vuole e poi lo abbandona illuso e stremato al termine di un itinerario immaginoso, con splendidi scorci tra le sfumature della vita e gli incanti della fantasia. In preda a visioni che la scrittura asciutta e rapida di Ge Miggioli modella in modo comunque apprezzabile, ruotando in se stessa fino a lasciare una traccia di incertezza, un’esile filo di speranza, un’utopia di mondo chiuso nella propria irripetibilità .

di Gian Paolo Grattarola
www.mangialibri.com

Il mangialibri

Le stagioni dell’eternità (Aras) è un romanzo di Ge Miggioli che ha l’ambizione di rispondere (o meglio, di cercare di rispondere) alle domande che l’essere umano si pone sin dalla nascita (chi siamo? da dove veniamo?). Argomento difficile che si dipana in quasi seicento pagine, alternando intuizioni felici e meno felici.

Non è un libro leggero, ma non tanto per la mole del volume o per la trama che, in linea di massima, è coerente e valida, quanto per la miriade di elementi che vengono messi in campo. L’ambientazione stessa è legata ad una dimensione naturale, quella del parco nazionale d’Abruzzo, che appare come una dimensione altra rispetto alla nostra quotidianità urbana.

Valentina, attrice della storia ma non solitaria protagonista, inizierà un viaggio iniziatico che la condurrà, con la mente, in una condizione privilegiata, panica. L’incontro con un uomo, immagine quasi landolfiana e onirica di creatura solitaria, punto di contatto tra l’essere umano e l’essere animale, metterà  la ragazza in contatto con condizioni nuove, elementi magici, situazioni incredibili.

C’è un po’ di tutto in questo magma narrativo: sette, miracoli, misticismo, magia, forze della natura, fantasmi, lotte. Ogni punto di riferimento è volutamente abbandonato, si va avanti per collegamenti, come una immensa macchia d’olio che avvolge tutta la narrazione. Si assiste potenti ad un gioco mentale in cui solo il narratore sembra conoscere le regole: ci perdiamo e ci ritroviamo come in un labirinto moderno, vogliamo scappare per poi sentire il bisogno di riportare gli occhi sulla pagina.

Miggioli è un visionario che non si perde in una lingua astratta e sovrabbondante, cerca semmai il tono asciutto di chi vuole esprimere un punto di vista, di chi vuole annientare per ricostruire, di chi vuole offrire su un piatto d’argento una speranza o, meglio ancora, un filo di speranza: quella perduta nel turbinio sconfortante della vita.

Ge Miggioli è un nuovo autore pesarese. Pubblica alcune poesie nell’antologia Nuovi poeti europei edito da Latmag di Bolzano, successivamente da’ alle stampe Piccolo decalogo (di sopravvivenza) per chi è stato appena abbandonato dalla morosa, nonché la versione al femminile Piccolo decalogo (di sopravvivenza) per chi è stata appena abbandonata dal moroso (editi entrambi da Es@ – Edizioni Studio Alf@). Sempre con Es@, pubblica una raccolta di poesie, Poesie per il brutto tempo (ma un arcobaleno c’è sempre). Durante una vacanza nel Parco Nazionale d’Abruzzo conosce gente e storie del posto, dicerie e leggende, fatti incontrovertibili e bugie da ubriachi e si diverte a collegare il tutto in una trama dalla quale sorgono poi tutti i presenti problemi. Quali? Quelli che lo costringono a nascondere il suo nome e la sua residenza e a pubblicare sotto pseudonimo il romanzo Le stagioni dell’eternità.

di Matteo Chiavarone
www.ilrecensore.com