DUE

Roberto guidava rilassato nella notte illuminata dalla luna, contemplando la distesa argentea del mare alla sua sinistra e le ombre scure dei colli che si susseguivano, più lontane, sulla destra, ognuna sormontata dall’agglomerato luccicante dei  paesi che scorrevano sullo schermo della notte come titoli di un film appena iniziato.

In una notte chiara

 

In una notte chiara

le stelle di  case lontane

invitano a viaggiare

                   senza mai arrivare

                   senza mai fermarsi.

 

Un paese visto

una folla conosciuta

                   sono sogni infranti.

Rimuginava da diversi minuti quella composizione con le parole che si accavallavano e si cercavano nella mente per dare un senso alle intuizioni che al di là del finestrino dell’auto pulsavano assieme al panorama notturno.  Finalmente gli sembrò abbastanza buona da meritare di essere aggiunta alle altre “poesie” raccolte nel quaderno verde che aveva infilato in qualcuno degli scatoloni  posti alle sue spalle.

Da ore non si concedeva una sosta eppure non si sentiva affatto stanco. Anzi era eccitato al pensiero di chiudere definitivamente un capitolo, un brutto capitolo, della sua vita ed aprirne uno nuovo e completamente diverso.

Si spostò dalla corsia di sorpasso per far posto ad un grosso Mercedes frettoloso, poi tornò di nuovo accanto allo spartitraffico di cemento. I cespugli di oleandro che  ne spuntavano  fuori evidenziavano la loro fioritura solo nei pochi metri illuminati dai fari dell’auto per poi sparire di nuovo inghiottiti dalla notte. Il traffico era scorrevole e solo raramente qualcuno chiedeva strada.

Ora che l’autostrada era ridotta a due sole corsie Roberto occupava normalmente quella di sorpasso così era quasi come se i camions, che costituivano la maggior parte del traffico, non ci fossero e la mente, meno concentrata nella guida, poteva vagare tra i vecchi ricordi e le nuove speranze.

Si era messo in strada a notte fonda. Ora albeggiava e da poco aveva superato il casello di Ancona Sud.

« Eccoci a metà strada.»

Ripensò per l’ennesima volta al posto in cui era diretto, Sullago, microscopico paesino lontano dalle tentazioni, vivo solo d’estate per merito del turismo. Un’oasi di pace. Lì avrebbe avuto inizio l’esperimento. Lì avrebbe cambiato vita. Se tutto fosse andato bene, e i quattro mesi che aveva davanti  costituivano un test fondamentale, avrebbe lasciato definitivamente Milano. Per il momento teneva ancora il suo appartamento in città, ereditato dalla madre. L’aveva ben chiuso e protetto, anche se tutte le cose di valore erano ormai già sistemate  nel nuovo appartamento posto sopra al ristorante di Sullago.

Se tutto fosse andato bene avrebbe acquistato, entro poco tempo, sia l’appartamento che il ristorante. Se tutto fosse andato bene avrebbe venduto la casa di Milano già nel prossimo inverno realizzando sicuramente un buon guadagno: gli appartamenti in centro erano molto richiesti.

SE TUTTO FOSSE ANDATO BENE.

Ma doveva andare bene! Doveva assolutamente!

La nuova attività si preannunciava semplice ma interessante. La gestione del ristorante annesso al campeggio del piccolo paese prometteva discreti guadagni anche se senz’altro inferiori a quelli del “Portico”, il locale che aveva gestito in affitto sul Naviglio negli ultimi sette anni. Ma in cambio, quanti pensieri in meno!

Innanzi tutto niente concorrenza. Era l’unico locale di Sullago se si escludeva il bar, il chiosco dei panini  e un piccolo negozio di generi alimentari. E i clienti sarebbero stati quasi esclusivamente turisti, persone presenti per una settimana, massimo quindici giorni, poi via, di nuovo a casa. E l’anno successivo avrebbero visitato altri posti. Afflusso continuo ma mutevole, nessuno da riverire, nessuno da ossequiare. Gente che tutto il giorno nuota nel lago o passeggia nei boschi e che la sera ha fame.

Gente che ha fame e che quindi vuole mangiare.

Così semplice e così fondamentale.

Soddisfare un bisogno, rispondere ad una domanda ben precisa. Niente smancerie, niente piatti ricamati e addobbati per dare importanza a pietanze che signore ingioiellate e distinti professionisti in sovrappeso piluccano appena, sparpagliandole con la forchetta a disegnare elaborati ghirigori in offesa ad oltre tre quarti della popolazione del mondo. Nessun rito sociale per sottolineare il ceto, per confermare il prestigio e mostrare all’invitato di turno la propria raffinatezza o per passare due ore nel proprio autocompiacimento.

Basta ipocrisie e falsità. Ritorno alla natura, ai bisogni fondamentali dell’uomo. Tu hai fame, io cucino, tu mi paghi. Semplice ed essenziale.

E basta soprattutto con il Resto.

Roberto si volse a guardare gli scatoloni di cartone regolarmente incuneati sul sedile posteriore della sua Fiat Uno grigia, l’auto che secondo Quattroruote era la più venduta e comune in tutta Italia e che lui aveva naturalmente scelto appunto per quel motivo, e ne ripassò mentalmente il contenuto.

Niente di compromettente. Nessuna prova, nessun indizio poteva essere trovato a suo carico. D’altronde nelle sue imprese era sempre stato meticoloso e più che attento. Sempre, anche nei momenti di maggior abbandono, anche nell’estasi assoluta, una parte della sua mente era vigile e pronta a controllare tutto, a valutare ogni più piccolo particolare. Non per niente era della Vergine!

E poi le sue vittime mai avrebbero parlato! Mai l’avrebbero denunciato! Di questo era sicuro, ma essendo la vita distante dalla matematica, Roberto teneva in conto ogni possibilità e si comportava in modo tale che se anche qualcuna di loro avesse trovato il coraggio di parlare, non avrebbe comunque potuto rivelare assolutamente nulla di pur lontanamente pericoloso per  lui.

Mettiamo pure il caso che la Polizia o la Guardia di Finanza lo avessero fermato per un banale controllo, oppure che durante il viaggio avesse avuto un incidente e che tutti i suoi bagagli si fossero sparpagliati sull’asfalto. Cosa avrebbero trovato gli eventuali soccorritori e curiosi? Libri, qualche disco, molte videocassette di film in edizione economica, oggetti personali qualunque. Un ristoratore cinefilo, con interesse particolare per la psicologia svelato da raccoglitori di diverse annate di Psicologia Contemporanea e dai molti trattati su argomenti diversi. E inoltre romanzi di evasione e di horror con qualche puntata nella letteratura colta.

E allora?

C’erano forse riviste pornografiche sadomaso, c’erano forse fotografie di minorenni legate o seminude, c’erano forse trofei delle sue passate imprese, che so, mutandine, reggiseni o ciocche di capelli? C’erano forse ritagli di giornali o raccolte di articoli su maniaci e violentatori?

Niente. Assolutamente niente. Nulla. Nisba.

Comunque il passato era dimenticato. Cancellato.

Stava andando a Sullago. Stava andando a rinascere. Seguiva l’alba lungo l’autostrada come un feto segue il canale vaginale verso la nuova luce.

MAI PIU’. MAI PIU’.

Perso nei suoi pensieri, con nella mente i progetti per il lavoro futuro, le mille cose da sistemare nella  nuova casa, i tanti problemi legati all’ambiente al quale si sarebbe dovuto adattare, Roberto si era completamente dimenticato di due esili fili che continuavano a legarlo al passato.

Oh, nulla che se fosse davvero incappato in un controllo delle forze dell’ordine, potesse destare particolare sospetto. In fondo  una videocassetta con spezzoni di film hard oggigiorno non scandalizza più nessuno e trovare un paio di parrucche, nella valigia di un distinto signore quasi calvo che si avvicina alla mezza età, è forse normale.

Eppure se Roberto si fosse ricordato di aver portato con se quei rimasugli di passato non avrebbe forse visto il futuro così roseo, non si sarebbe sentito rinato e soprattutto non avrebbe pensato che la nuova vita potesse rimanere candida e innocente per molto tempo.